L'IPCC, o Intergovernmental Panel on Climate Change (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico), è il principale ente internazionale che si occupa della valutazione dei cambiamenti climatici. Il gruppo di lavoro dedicato ha come attività principale la produzione e la pubblicazione di report ad ampio respiro, che si servono delle più alte conoscenze e competenze di un team multidisciplinare di esperti, il cui scopo è non solo quello di analizzare tali eventi con un rigoroso metodo tecnico-scientifico e socio-economico, ma anche di valutare il rischio che essi costituiscono per la salute planetaria e le loro conseguenze, in modo da poter proporre linee risolutive.
Alcuni cenni storici: l’organizzazione, istituita nel 1988 dalla Organizzazione Meteorologica Mondiale e dallo UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente), ha sede a Ginevra ed ha pubblicato il primo rapporto nel 1990, a seguito del quale un comitato intergovernativo ha delineato, nell’ambito delle Nazioni Unite, l’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change), entrata in vigore nel 1994 e ratificata da 189 paesi. Il secondo rapporto (1995) ha condotto all’approvazione del protocollo di Kyoto nel 1997. L’IPCC prepara inoltre rapporti speciali e relazioni tecniche in risposta alle richieste dell’UNFCCC o di altre convenzioni ambientali, come per esempio la Convenzione di Vienna per la protezione dello strato di ozono. Ha ricevuto il premio Nobel per la pace nel 2007, insieme all’ex vicepresidente degli Stati Uniti e ambientalista Al Gore.
Il rapporto del 2022, pubblicato di recente e successivo a quello del 2014, si concentra su alcuni temi la cui relativa analisi è rappresentata da tre parole chiave: “impatti”, “vulnerabilità” ed “adattamenti”. La prima, che è alla base del lavoro di ogni panel, indica lo studio degli effetti causati dai cambiamenti climatici, di matrice antropica, su «ecosistemi, società, infrastrutture, settori produttivi, culture, città e insediamenti»; lo sforzo collettivo dell’IPCC è di valutare contemporaneamente le situazioni locali e quella globale, per una visione d’insieme efficace. La seconda richiama il concetto dei cosiddetti Shared Socioeconomic Pathways – SSP: si tratta di una raccolta di futuri scenari climatici e relative proiezioni socio-economiche che potrebbero presentarsi in caso di assenza di politiche adeguate in risposta ai cambiamenti in atto, e che costituiscono per gli esperti un fondamentale strumento di pensiero critico da poter tradurre in proposte pratiche, al fine di elaborare strategie di reversione del mutamento climatico. La natura politica del report si esplica soprattutto nella chiamata all’azione guidata dalla definizione di tali scenari: è impossibile scindere le figure dei policy makers dagli studiosi che si occupano di cambiamenti climatici, se il fine ultimo è comune e condiviso. Gli SSP elaborati si fondano su cinque linee, e consistono in: sviluppo sostenibile (SSP1), rivalità regionale (SSP3), disuguaglianza (SSP4), sviluppo basato sui combustibili fossili (SSP5) e una narrazione che si pone nel mezzo tra quelle descritte (SSP2). Infine, la terza parola si riferisce alla valutazione delle opzioni di adattamento in corso, alla loro efficacia, fattibilità e alle eventuali limitazioni, al fine di poter correggere le linee d’azione attuali e suggerire miglioramenti.
Altro punto importante del nuovo rapporto riguarda la stretta ed imprescindibile connessione tra la buona riuscita dell’adattamento ai cambiamenti climatici ed un dignitoso raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs – Sustainable Development Goals). Essi rientrano in un’agenda, chiamata “Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”, che è stata adottata da tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite nel 2015, e fornisce un progetto condiviso per il raggiungimento di pace e prosperità per l’umanità intera ed il pianeta, auspicando il raggiungimento di 17 obiettivi entro il 2030 attraverso un partenariato globale.
Rispetto alle precedenti edizioni del Rapporto, l’IPCC del 2022 si è focalizzato sull’importanza dell’integrazione tra le scienze naturali, sociali ed economiche, sulla necessità di dare ascolto alle comunità locali ed alle popolazioni indigene, ed infine sottolinea il ruolo della giustizia sociale come elemento indispensabile al successo delle politiche di adattamento ai cambiamenti climatici a livello globale. Individua inoltre, per la regione europea, quattro categorie di rischio il cui livello aumenta in maniera direttamente proporzionale all’aumento del riscaldamento globale. Con un livello di adattamento basso, e l’aumento della temperatura terrestre di 2°, tali rischi diventano molto più seri:
Il messaggio lanciato dagli esperti nel report è chiaro: le linee d’azione devono essere elaborate e messe in pratica il prima possibile, in maniera efficace ed efficiente, con una visione globale ed un obiettivo di benessere planetario da perseguirsi nella consapevolezza che le azioni del presente determinano le prospettive del futuro. L’inserimento degli indicatori socio-economici come elementi cardine delle decisioni da intraprendere è un forte segnale sulla direzione da percorrere: ossia, attività di mitigazione e adattamento che siano frutto di una conoscenza approfondita, olistica e resiliente in modo da riconciliare l’impatto dell’uomo con il pianeta Terra.
Aurora Heidar Alizadeh - Università Cattolica del Sacro Cuore