Microplastiche e salute dell’uomo: quali gli effetti di questo inquinamento?

Focus

Negli ultimi 70 anni abbiamo assistito ad un aumento esponenziale della produzione di plastica che ha raggiunto nel 2018 quasi 360 milioni di tonnellate. La produzione è destinata ad aumentare ulteriormente nei prossimi anni, soprattutto con la moderna popolarità dei prodotti in plastica "monouso". Insieme alla produzione di plastica, è cresciuta anche la quantità di rifiuti derivati da questo materiale. A causa del suo lento tasso di degrado, la quantità totale di questi rifiuti continuerà ad accumularsi, raggiungendo i 12 miliardi di tonnellate entro il 2050.

Il problema dello smaltimento della plastica

Un grosso problema è dettato dal fatto che una parte considerevole della plastica non viene smaltita correttamente finendo così nell’ambiente. Già nel 1970, durante una spedizione di due mesi attraverso l'Oceano Atlantico, l'esploratore norvegese Thor Heyerdahl descrisse per la prima volta di aver incontrato abbondanti rifiuti di plastica che galleggiavano sulla superficie dell’oceano. In conseguenza di questa scoperta, il Congresso degli Stati Uniti approvò nel 1972 quello che venne definito l'Ocean Dumping Act, un documento che regolamenta le attività di scarico dei rifiuti negli oceani. Purtroppo, quasi 50 anni dopo, i rifiuti di plastica non sono diminuiti; al contrario, continuano ad aumentare drammaticamente.

Microplastiche e nanoplastiche: emergenza mondiale

Ora sappiamo che tutte le plastiche, da quelle derivate dai prodotti e imballaggi di scarto che popolano le discariche, a quelle utilizzate per la produzione di pneumatici, e perfino quelle impiegate come imballaggi per alcuni alimenti come le bustine di tè sintetiche, alla fine si degradano. Quello che ne risulta è la formazione di particelle microscopiche chiamate microplastiche, nel caso le loro dimensioni siano inferiori ai 5 mm, o nanoplastiche se hanno dimensioni ancora più piccole.

Le nanoplastiche, avendo un diametro inferiore ai 100 nm, sono più piccole delle cellule che compongono il nostro corpo, e quindi sono invisibili ad occhio nudo.

Studi recenti hanno stimato che circa 2.5 milioni di tonnellate di microplastiche finiscono ogni anno negli oceani e, di queste, 430.000 tonnellate si accumulano nel suolo dei paesi europei.

Le micro e nanoplastiche sono state rilevate anche nell’atmosfera e si sa che possono essere trasportate dal vento raggiungendo così anche in zone apparentemente incontaminate del nostro pianeta.

La loro presenza è stata rilevata in 201 specie animali commestibili, nell’acqua potabile e in diversi alimenti destinati al consumo umano, in particolare nei pesci, nei molluschi, nel pollame e nel sale.

Anche i tappi di plastica delle bottiglie possono rilasciare micro-frammenti durante il loro utilizzo, contaminando così le bevande che contengono e che, a volte, sono consumate anche dai più piccoli.

Tutti gli animali marini e terrestri, uomo compreso, sono quindi destinati a consumare inevitabilmente e inconsapevolmente le micro e nanoplastiche. È stato stimato che negli Stati Uniti, ogni persona ingerisce in media da 74.000 a 121.000 particelle ogni anno. La dimostrazione della presenza di micro e nanoplastiche in campioni di feci umane è inoltre una chiara dimostrazione di ciò che prima si poteva solo ipotizzare.

Questi dati, già di per sé inquietanti, sono ulteriormente aggravati da osservazioni recenti effettuate su organismi acquatici e roditori, che dimostrano la capacità di queste nanostrutture di attraversare le barriere biologiche, quali la placenta e la barriera intestinale, e di accumularsi nell’intestino modificando la composizione del microbiota.

La distribuzione ubiquitaria delle micro e nanoplastiche nell’ambiente rappresenta quindi un’emergenza mondiale e suscita molta preoccupazione soprattutto per il loro possibile impatto sulla salute di tutti gli esseri viventi.

Microplastiche primarie e secondarie

Oltre che sulla base delle loro dimensioni, le particelle di plastica presenti nell’ambiente possono essere classificate in base alla loro origine.

Le microplastiche prodotte volontariamente dall’uomo e inserite nei prodotti sono definite come primarie. Vengono rilasciate direttamente nell’ambiente in seguito ad usura o durante il loro utilizzo, e si stima che rappresentino il 15-30% delle microplastiche presenti negli oceani. Ne sono un esempio le microparticelle rilasciate dai capi di abbigliamento durante i lavaggi, quelle derivate dalll’usura degli pneumatici e quelle che si liberano durante l’uso di alcuni prodotti cosmetici come gli scrub, i dentifrici o alcune creme.

Più comuni, invece, come contaminanti ambientali sono le microparticelle secondarie, cioè quelle che si formano dalla degradazione degli oggetti di plastica “dimenticati” nell’ambiente e che si stima che rappresentino circa il 70-80% delle microparticelle ritrovate negli oceani.

Quali sono gli effetti sulla salute dell’uomo? L’impegno dell'Istituto Mario Negri

I possibili effetti dell’esposizione alle micro e nanoplastiche sulla salute dell’uomo non sono ancora noti. L’interesse verso questo tema è sempre più grande, come dimostra il numero crescente di pubblicazioni scientifiche, che è passato da 18 nel 2009 a 1436 nel 2019.

Resta ancora però molto lavoro da fare. A questo proposito, nel Dipartimento di Biochimica e Farmacologia Molecolare sono in corso diversi studi il cui obiettivo principale è quello di chiarire i meccanismi con cui l’accumulo negli organi o nei tessuti derivato dall’ingestione delle micro e nanoplastiche può causare effetti tossici e favorire l’insorgenza di alcune patologie. Particolare attenzione è rivolta a quelle malattie causate dalla formazione e dall’accumulo di aggregati proteici tossici note con il nome di amiloidosi, come l’Alzheimer, il Parkinson, l’Huntington, la sclerosi laterale amiotrofica familiare e, anche se più rare, le amiloidosi sistemiche. Queste malattie rappresentano un gruppo eterogeneo di patologie causate da proteine che normalmente sono presenti nel nostro organismo e che, per ragioni ancora non note, ad un certo punto assumono una conformazione diversa da quella nativa. Questa alterazione strutturale favorisce il reclutamento di altre proteine e la formazione di filamenti ed eventualmente di aggregati fibrillari tossici. Non è escluso che le micro e nanoplastiche, accumulandosi nei vari organi, anche a livello del sistema nervoso centrale, possano innescare il cambio conformazionale di alcune proteine favorendo così l’insorgenza di amiloidosi.

Quali sono le soluzioni al problema delle microplastiche?

Se fino a qualche anno fa si poteva pensare che il problema fosse “solo” di tipo ambientale, ora sappiamo che la contaminazione da micro e nanoplastiche rappresenta un’emergenza anche per la salute dell’uomo.

La soluzione non è univoca e sono richiesti sforzi congiunti per rimediare ai danni prodotti finora, sia da parte dei singoli cittadini che devono cambiare le loro abitudini, sia da parte delle autorità politiche-regolatorie e del mondo produttivo.

Sono necessari sforzi per cercare di ridurre la produzione dei prodotti plastici al fine di prevenire il rilascio di nuove micro e nanoparticelle nell’ambiente.  

Il mondo scientifico e tecnologico sta inoltre lavorando per trovare il modo di accelerare la degradazione della plastica già prodotta e presente nell’ambiente, per esempio utilizzando microrganismi o sostanze enzimatiche.

Luisa Diomede - Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri - IRCCS

Raffaella Gatta - Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri - IRCCS - Content manager