“No man is an Island”: il cambiamento climatico che riguarda l’umanità intera

Focus

Nessun uomo è un’isola”, recitava il poeta inglese John Donne (1572-1631). In uno dei suoi scritti più famosi, nel quale analizza il tema della intima ed indissolubile connessione tra gli uomini e tra questi e la morte, si pone una meditazione senza tempo e senza limiti interpretativi. Nel 2022, in un mondo alle prese con terribili sfide e crisi umanitarie, il problema del cambiamento climatico rimane il malaugurato collante che rende palese, più che mai, quanto sia fondamentale la risoluzione dei problemi ambientali per il benessere dell’umanità e di tutti gli ecosistemi viventi.

L’ultimo report delle Nazioni Unite sul mutamento climatico, risultato del gruppo di lavoro scientifico dell’IPCC, evidenzia realtà sempre più drammatiche, destinate ad un inesorabile peggioramento senza una precisa azione politica guidata dall’evidenza scientifica. Tra i vari punti affrontati dal report, vi è una particolare attenzione posta ai problemi che scaturirebbero dall’innalzamento della temperatura terrestre oltre il famigerato 1,5 °C: questo, decretato dagli accordi di Parigi (2015), è ormai previsto dalla comunità scientifica come una realtà che si concretizzerà, salvo manovre risolutive per una inversione di rotta, alla fine del nostro secolo. I rischi principali sono quattro: 

  • Ondate di calore su popolazioni e ecosistemi;
  • Produzione agricola;
  • Scarsità di risorse idriche;
  • Maggiore frequenza e intensità di inondazioni.

I Planetary Boundaries

A questa puntuale spiegazione, pubblicata sia in forma integrale che in forma funzionale alla consultazione ed utilizzo da parte dei policy makers sotto forma di sinossi dei punti più salienti e scheda tecnica, va affiancata la nota narrazione magistralmente riassunta dai cosiddetti “planetary boundaries”, ossia i limiti planetari, categorizzati in nove macroaree.

Nel 2009, lo scienziato svedese Johan Rockström, celebre per il suo impegno nei problemi sulla sostenibilità della vita umana sulla Terra, ha guidato un gruppo di lavoro costituito da 28 esperti riconosciuti a livello internazionale per delineare i nove processi che regolano la stabilità e la resilienza del sistema Terra. L’analisi condotta da Rockström e il suo gruppo, prettamente quantitativa, si è posta come scopo principale quello di fornire uno strumento pratico e di congiunzione tra scienza, politica ed economia da asservire allo sviluppo di strategie Earth-oriented, innovative e finalizzate alla reversione e salvaguardia del pianeta. 

Ogni boundary ha la possibilità di collocarsi in tre zone: una verde, di sicurezza, una gialla, di rischio crescente verso il limite della pericolosità, ed una arancione, la più temibile: la cosiddetta zona “beyond uncertainty”, dalla quale non è comprovato che si possa tornare indietro. In quest’ultima, attualmente, si collocano ben tre delle nove categorie, di cui due già note (cicli biogeochimici e integrità della biosfera), mentre l’ultima è emersa a gennaio 2022, segnalata in uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Science and Technology: 14 scienziati hanno asserito che l’umanità ha superato anche il boundary riguardante le cosiddette “new entities”, principalmente rappresentate dalle microplastiche, oggetto di numerosissime indagini che le hanno riscontrate in contesti (si sperava) impensabili, che spaziano dalla placenta umana all’atmosfera, passando per le diramazioni dell’albero polmonare e il sangue umano.

Tra questi nove pilastri, spicca quello del cambiamento climatico: al momento si trova nella zona gialla, dal momento che è già stato sorpassato il limite di 390 ppmv di CO2 nell’atmosfera; tuttavia, la tendenza attuale è quella di avvicinarsi sempre di più alla zona arancione, quella estrema, in mancanza di adeguate restrizioni sulle emissioni di gas serra nell’aria. I principali produttori, ossia i Paesi fortemente industrializzati, vengono esposti nel capitolo 2 del rapporto IPCC, assieme al quantitativo di emissioni prodotte, la natura di queste ed il periodo di tempo impiegato. L’aumento dei gas serra, responsabile dell’innalzamento della temperatura media del pianeta, ha già determinato numerose e disastrose conseguenze per l’ambiente: prima tra tutte, lo scioglimento dei ghiacciai polari, un fondamentale ecosistema per una ricchissima biodiversità nonché preziosa risorsa nel mantenimento di una temperatura e di un livello dei mari sostenibili ed adeguati, che sta perdendo in maniera pressoché irreversibile la sua resilienza. Questo planetary boundary è sicuramente un esempio estremamente calzante di come il superamento di una soglia possa determinare, in tempi estremamente rapidi, conseguenze molto gravi e tangibili per gli ecosistemi terrestri. 

Da menzionare anche la questione dell’utilizzo di combustibili fossili, che contribuiscono in larga parte all’aumento della temperatura terrestre; l’impoverimento delle risorse terrestri dovuto all’utilizzo intensivo, iniziato con la prima Rivoluzione Industriale e accentuato dalla distruzione sistematica ed intensiva delle foreste terrestri, è un’ulteriore criticità che sta spingendo l’acceleratore verso la zona di uncertainty, un evento da scongiurare nel più breve tempo possibile prima che diventi inevitabile.

Riferimenti:

  1. https://www.eon-energia.com/magazine/energia-domestica/accordi-di-parigi-insieme-per-fermare-i-cambiamenti-climatici.html 
  2. https://ipccitalia.cmcc.it/il-rapporto-ipcc-spiegato-dagli-esperti-italiani-con-i-contenuti-principali-su-europa-mediterraneo-e-italia/ 
  3. https://www.ipcc.ch/report/ar6/wg3/ 
  4. https://www.stockholmresilience.org/research/planetary-boundaries.html 
  5. https://pubs.acs.org/doi/10.1021/acs.est.1c04158 
  6. https://www.stockholmresilience.org/research/planetary-boundaries/the-nine-planetary-boundaries.html

dott.ssa Aurora Heidar Alizadeh - Università Cattolica del Sacro Cuore